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Claudio Zorzi: una redenzione pittorica

Esistono infiniti modi di indagare l’esistenza e confrontarsi con il continuo divenire di questa nostra vita, tanto imprevedibile quanto meravigliosa; c’è chi prega, chi medita, chi preferisce non interrogarsi e chi consacra la sua esistenza all’arte. Claudio Zorzi ha fatto della pittura la sua preghiera laica.

Attraverso la realizzazione di ritratti a olio, mescolati all’occorrenza alla tempera acrilica, le sue figure connotate da nome e cognome del soggetto ritratto sono una continua ricerca esistenziale di quella voce stratificata nell’alfabeto pittorico che diviene una ricerca continua del cambiamento, del nostro Io più profondo e un diario del nostro costante e inevitabile mutamento estetico e interiore. 

Claudio Zorzi nasce a Gioia del Colle nel 1989 e dopo una laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, si trasferisce e lavora a Torino. Ha partecipato con entusiasmo a diverse mostre collettive come “Game Over” (spazio Base, Firenze,2017, progetto di Giuseppe Stampone) a cura di Paolo Parisi, “Perché il cielo è di tutti e la terra no” (The Pool NYC ,Milano,2018,progetto di Giuseppe Stampone ) e tante, tantissime altre. 

Il suo sapiente uso del colore, ricco di filamenti, venature e graffi che emergono e invadono le figure ritratte, è la sua personale rappresentazione di un’interiorità che trasfigura le forme estetiche, ricordando quasi la visualizzazione da un vecchio monitor a tubo catodico.

Questa tecnica esplode in uno schema cromatico che si confonde e si intreccia, mostrando a noi spettatori i diversi livelli e strati di cui è composto un essere umano, forma complessa e testimonianza indelebile dell’infinità dell’universo. 

La luce soffusa degli ambienti è poi una scelta ricorrente e caratteristica del lavoro di Zorzi, che rende i tratti umani poco riconoscibili, favorendo l’immedesimazione – soprattutto emotiva – dello spettatore che ne fruisce interrogandosi sul complesso intreccio esistenzialista rappresentato. 

È come se la sua pittura evocasse la sensazione di un qualcosa di indefinito ma tangibile dal punto di vista percettivo: un abbandono alla nostra natura primordiale.

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Marcello Olivari nasce a Brescia a fine anni ottanta e comprende fin da subito la sua innata creatività. Si laurea con successo in Beni Culturali presso l'Università di Bologna dedicando sempre più le sue attenzioni al ramo della cinematografia. Infatti lavora poi come Aiuto Regista e videomaker per la Giostra Film, arrivando anche a importanti produzioni Netflix e Cattleya. Da qualche anno ha deciso di spostarsi sul settore immobiliare, non di certo lasciandosi alle spalle le sue passioni a cui tutt'ora dedica tutto il tempo che può: oltre a scrivere come articolista per Not Yet si dedica ancora alla direzione cinematografica creando dei toccanti cortometraggi d'autore.

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