L’artista fra trasformazione e metamorfosi

Émile Kirsch è un ventisettenne artista parigino dalle mille sfaccettature. Nato in un contesto difficile di un quartiere della capitale francese, dopo il liceo si è dedicato ad una formazione letteraria al Lycéé Henri IV, considerato uno dei college di sesto grado più prestigiosi in Francia. Successivamente, durante gli studi all’ENSCI – Les Ateliers (l’École Nationale Supérieure de Création Industrielle) ha svolto diverse residenze d’artista e ha iniziato il suo primo internship presso Formafantasma Studio in Olanda.

Tra i progetti futuri che coniugano gli impegni artistici e sociali, c’è quello di stare per diverso tempo a Mayotte per una residenza artistica nomade chiamata Sadaka, rivolta ai bambini isolati dell’arcipelago che non possono andare a scuola. Una volta lì vuole incontrare la gioventù mahoresesoprattutto per scambiare idee, imparare e aiutare ogni bambino a rivelare la sua forza espressiva e personale, insegnandogli come la rabbia o la violenza che a volte è nei loro gesti e nella loro vita può essere esternata e trasformata in bellezza.

“Mi piace scambiare idee, imparare e aiutare ogni bambino a rivelare la sua forza espressiva e personale, insegnandogli come la rabbia o la violenza che a volte è nei loro gesti e nella loro vita può essere esternata e trasformata in bellezza”.

– Émile Kirsch
Émile Kirsch

Nonostante la giovane età – 27 anni – Kirsch sta attualmente insegnando Art Thinking alla Business School ESCP di Parigi, con il desiderio di accompagnare la libera espressione per tutti e la pratica della creazione artistica ovunque, anche in una scuola di business. 

Lo abbiamo intervistato per portare – direttamente dalla sua aula fino alle nostre pagine – tutti gli insegnamenti che può dare ai giovani artisti desiderosi di emergere come ha fatto lui, oltre che per farci raccontare tutto sul suo percorso, i suoi progetti e la sua arte sfaccettata.

‘Villa Noailles’ by Émile Kirsch

Sei decisamente un artista poliedrico, ma come è possibile?

Così come potrebbe fare Audre Lorde, mi piacerebbe rispondere recitando una poesia. Tra l’altro rispondo spesso alle domande con un collage di pensieri e citazioni, perché a modellare la mia vita ci sono molte identità ed esperienze diverse. 

La risposta è che mi sento come un camaleonte tra mondi diversi, con un approccio a volte molto riflessivo e supportato da riferimenti accademici, ma sempre basato sulle mie sensazioni e la mia esperienza.

La tua arte ha subito una grande evoluzione nel corso del tempo: fotografia, pittura e infine anche il mondo del design con le tue installazioni. Che cosa alimenta la tua creatività? 

Cerco sempre un momento poetico e puramente esistenziale, per poi trovare il modo migliore per esprimerlo e condividerlo. Contemplo, sperimento e leggo molto. 

Quando lavoro tanto con le immagini ne apprezzo l’aspetto materiale e le possibili trasformazioni: la stessa immagine, la stessa “fonte” visiva, muterà diversamente a seconda delle operazioni effettuate su di essa. Ad esempio, se si accetta l’imprevisto causato dal gesso che scivolando lascia un segno non voluto e permanente, una semplice macchia può diventare un punto di partenza e “l’arcobaleno può diventare una pelle” (Paul B. Preciado). 

Infine, apprezzo l’unione degli opposti: dipingere con l’inchiostro su un supporto inadatto, far crescere ramoscelli su superfici metalliche, riprodurre la forma del cristallo con un pezzo di pelle… Preferisco tralasciare la staticità delle immagini, degli oggetti e delle definizioni e, piuttosto, moltiplicare i punti di vista ed essere come un traghettatore di luci e colori. O magari, un illusionista al servizio della realtà.

Ultimamente ti sei concentrato di più sulla ritrattistica. Cos’è che ti affascina?

Sono affascinato dai corpi e dai volti, cerco di catturare le metamorfosi dei miei modelli e di portarli a lavorare al mio fianco attraverso procedure che accolgono il caso e l’incertezza. Tra tecnica ed improvvisazione, mi occupo dell’ignoto e dell’imprevisto, dei vincoli e delle risorse esistenti per ritrovare la libertà di disegnare ascoltando il bisogno profondo della persona. 

Poi l’incontro intimo ed individuale continua spesso su scala collettiva, attraverso performance che a volte riuniscono anche centinaia di volti ed energie attorno allo stesso progetto. Insieme formiamo un superorganismo, un super artista.

‘Debeaulieu’ 2021 © Émile Kirsch
‘La Fontaine du Vé‘, 2017-2018 © Émile Kirsch

Parliamo ora di ‘La Fontaine Du Vé’, un insieme di 1347 ritratti.

Nel cuore di una città scolastica nel sud-ovest della Marna – La Fontaine du Vé – ho realizzato il ritratto di 1347 adolescenti durante l’anno scolastico 2017/2018. 

La struttura si trova a Sézanne, un territorio isolato e rurale dove gli adolescenti sembrano cercare, qui più che altrove, un immaginario a cui aggrapparsi e con cui identificarsi. Dunque, investire sul ritratto è diventato un modo per mettere in discussione questo ribollente magma interiore ed unire l’intera comunità scolastica attorno allo stesso progetto.

Con gessetti e pastelli colorati, ognuno ha preso il proprio ritratto e lo ha rielaborato, modellato a modo suo, sperimentato ed esplorato 

Come un giovane Ovidio, si sono piegati a raccontare di corpi mutati in nuove forme. Hanno preso coscienza del loro potere creativo, di un’energia collettiva e quindi di una possibilità di azione. È proprio trasformando sé stessi a contatto con le proprie creazioni che si sono inventati nuovi volti per rappresentarsi, rivelando tutto ciò che è possibile e stimolante nei loro mondi.

“Per la prima volta mi sono sentito nel “posto giusto” e ho capito come l’arte può essere collettiva, estetica e politica allo stesso tempo”.

Émile Kirsch

Quali materie tratti con i tuoi studenti all’ESCP e come sei giunto ad insegnare in un istituto così prestigioso?

Dagli impatti del Covid-19 ai cambiamenti climatici, l’incertezza è diventata la nostra nuova certezza e pensare in maniera creativa è fondamentale per attivare prospettive alternative e costruire soluzioni sostenibili, soprattutto in una business school. 

Mi sorprende sempre vedere riluttanza tra il campo artistico e quello imprenditoriale perché in realtà il loro processo creativo è affine in molti aspetti, in particolare nella critica di un sistema di valori esistente. 

Alla business school ESCP insegno Art Thinking: un metodo attivo per creare l’improbabile con certezza. Questo metodo è stato reso ufficiale da Sylvain Bureau e Pierre Tectin che sono stati i miei insegnanti e mi hanno subito proposto di entrare a far parte dell’Art Thinking Collective. Da allora ho avuto l’opportunità di insegnare con loro a Parigi, Madrid, Berlino e Tokyo.

‘Nature is Speaking’ © Émile Kirsch

Dove possono ammirare le tue opere i nostri lettori?

Ogni giorno per le strade di Parigi o in tutti i posti in cui vado, con il mio progetto di rami magnetici ‘Ta, Da, Ça!’, termine tradotto letteralmente come “quello, eccolo, ecco!”; come un bambino piccolo che quando indica qualcosa esclama “guarda là!”. 

Si tratta di un intervento semplice: un insieme di minuscoli tubi di acciaio magnetizzato con l’estremità aperta che si adatta perfettamente a dei ramoscelli, i quali sottolineano che un’opera d’arte può essere itinerante e che, soprattutto, un artista ha la responsabilità sociale di diffondere le sue idee attraverso presentazioni non tradizionali, a volte in una rete – o in un nido – di contraddizioni e incongruenze.

«All’improvviso germogliarono ramoscelli, dentro e fuori, da termosifoni, elettrodomestici da cucina, mobili di metallo, ringhiere, tubi di scarico e segnaletica stradale. Ta, Da, Ça! Non solo attira la nostra attenzione su manufatti nel nostro ambiente che così spesso diamo per scontati, ma ribalta anche scherzosamente la nostra convenzionale comprensione dell’ordine delle cose. Oggetti che credevamo completi, limitati ed addomesticati sembrano germogliare, crescere e proliferare» per citare Tim Ingold.

Ta, Da, Ça!’ è un progetto che trasforma gli spazi che occupa, obbligando lo spettatore a reinterpretare l’ambiente con uno sguardo vergine e suggerendogli che la bellezza è un evento dinamico che si verifica spontaneamente tra una cosa e un’altra. 

Émile Kirsch
Ta, Da, Ça!’ © Émile Kirsch
Émile Kirsch by Camille Zerhat

Hai collaborato con Petit h | HERMES per dare vita a fantastiche creazioni che univano arte e design. Come ha preso vita questa collaborazione?

Da 10 anni modello ritagli di pelle su una ciotola semplicemente per amore delle forme, come Christo e Jeanne-Claude potrebbero fare su scala architettonica: avvolgere e coprire gli oggetti per vederli in modo diverso. Un giorno, probabilmente, realizzerò un’installazione con queste migliaia di ciotole in pelle che vibrano al minimo soffio di vento. 

Con Petit h | HERMES abbiamo avuto l’idea di continuare con queste ricerche per l’inaugurazione del suo spazio dedicato, accanto al negozio Hermès a rue de Sèvres a Parigi. Attualmente in vetrina potete vedere i miei pezzi, questa volta nati dall’incontro della pelle con il cristallo Saint-Louis o la porcellana Nontron. Ho selezionato forme già esistenti di oggetti di Hermès e lampadari Saint-Louis che sono diventate la matrice di questi oggetti. Il cristallo e la porcellana prestano i loro rilievi tagliati e le loro forme lavorate alla pelle che, conservando tutte le impronte, rimane l’unica testimone di questo incontro.

Questo progetto svela con semplicità le forme del gruppo Hermès, ma anche e soprattutto il virtuosismo degli artigiani e l’eccellenza delle materie prime per creare un dialogo giocoso intorno alla sostenibilità, alla reinvenzione e al riuso dei materiali esistenti.

GUILLAUME GRASSET/COURTESY OF HERMÈS

A proposito di metamorfosi, quali cambiamenti ci sono stati nella tua vita da quando sei entrato nel mondo del lavoro?

Il bello del lavoro è che gli incontri si moltiplicano, si attraversano ambiti diversi e si amplia, sempre un po’ di più, il proprio spettro di visione. Ed è anche a contatto con gli altri che mi trasformo, supero il mio limite e sfido me stesso. 

Ho avuto la possibilità e l’opportunità di lavorare e interagire con diverse personalità, mescolare discipline e confrontarmi con prospettive differenti, per continuare a raccontare «l’altra storia, quella non raccontata, la storia della vita», perché «è la storia che fa la differenza» (Ursula K. Le Guin). Questa storia è fatta di migliaia di occhi: Marie-Sarah Adenis e le sue storie concrete del mondo invisibile, Tim Ingold e le sue linee generose e interminabili, Anna d’Elia e le sue commoventi traduzioni, François Azambourg e i suoi oggetti animati, Augustin Berque e la sua attenzione alle cose e così via. 

Anche i miei brevi, ma sorprendenti incontri con Andrea Branzi, Tadashi Kawamata, Archie Shepp e tante altre belle persone dimostrano che è tutta questione di trovare un certo grado di libertà in mezzo ai vincoli mantenendo una costante botta e risposta con il proprio ambiente, concedendosi la libertà di non essere sempre fedeli ai propri modelli, di trasformarsi e di interrogarsi sempre.

Infine, quali sono i consigli più utili che potresti dare a tutti i nostri lettori che purtroppo non possono ascoltare le tue lezioni in classe?

Sono convinto che le persone stiano (ri)iniziando ad ascoltare la musica che ci circonda e a riconnettersi con l’intimità perduta dell’ambiente. Il consiglio più utile potrebbe essere quello di tenere gli occhi aperti, di essere concentrati sul presente e di provare gioia anche dalle più piccole attività quotidiane.