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Scontrini come oracoli: l’arte imprevista e la rivoluzione candida di Camilla Gurgone

Chi ha detto che l’arte debba abitare i templi dorati della contemplazione?

Forse, al contrario, l’arte più autentica è quella che riesce a insinuarsi tra le pieghe del quotidiano, a farsi materia viva nelle mani di chi non l’attendeva.

Con Camilla Gurgone ci troviamo davanti a un paradosso affascinante: ciò che è comune e

trascurabile che si ribalta in epifania, lo scontrino che diventa poesia, il documento contabile che si trasforma in confessione intima.

Camilla Gurgone

La sua ricerca appare estremamente semplice ma impattante: riesce a fondere elementi della quotidianità con pratiche artistiche alte, come la poesia. Ha la capacità rara di trovare lo straordinario nell’ordinario, di farlo germogliare tra le zolle non ancora arate e apparentemente sterili della vita di tutti i giorni.

C’è in essa una propulsione di denuncia e di sfida ai meccanismi sociali che crediamo fissi e inamovibili, eppure la sua estetica rimane limpida, candida, capace di ribaltare ogni certezza con delicatezza. Anche nelle performance in cui mette sé stessa al centro, diventa corpo-veicolo di un messaggio che porta con sé la freschezza di un cambiamento possibile.

Nata a Lucca nel 1997 e approdata a Milano dopo gli studi alla RUFA e alla NABA, Camilla porta con sé una convinzione che non ammette esitazioni: essere artista non è una scelta professionale, ma una condizione esistenziale, una necessità.

Lei stessa dichiara: “Il mio lavoro nasce da un conflitto costante: da una parte linguaggi rigidi e impersonali – scontrini, fatture, algoritmi – dall’altra il bisogno di insinuare in essi una dimensione fragile ed emotiva. So che è un tentativo destinato al fallimento, ma è proprio in quella frattura che si costruisce la mia poetica”. Ed è proprio qui, in questa crepa che lascia filtrare luce, che Gurgone trova la sua voce.

Il suo percorso artistico è un continuo esercizio di trasformazione: dal supermercato alla ceramica smaltata, dal documento freddo alla carezza poetica, dalle regole ferree della contabilità all’imprevedibilità di un anagramma.

La serie ‘Tachilalia’ è emblematica: scontrini che si sciolgono e si ricompongono in testi imprevisti, come se le lettere stesse, stanche del loro dovere mercantile, si liberassero per cantare un’altra storia.

Il pubblico, davanti a queste opere, non resta spettatore: diventa co-autore, perché in quei frammenti riconosce un pezzo di sé, un dettaglio familiare, la traccia segreta di una vita comune che improvvisamente si illumina.

Il filo rosso che attraversa il suo lavoro è la fragilità, non come debolezza ma come forma di resistenza. Camilla lo sottolinea con chiarezza: “C’è un bisogno condiviso di riscatto, di rivalutazione della fragilità. È un tema che risuona nelle nuove generazioni, non solo nell’arte ma anche nella musica e nella cultura popolare”.

In un mondo che ci chiede costantemente di apparire vincenti, lei ribalta la prospettiva: il fallimento non è fine, ma germoglio.

Non sorprende, allora, che la sua ricerca si misuri anche con il lavoro come prigione e ossessione. Nella performance ‘Groupware’ (2023), Camilla si è rinchiusa in una vetrina commerciale dalle 9 alle 19, incarnando la routine dello smart working e trasformando il proprio corpo in specchio della società.

Le sue parole, disseminate in appunti quotidiani, diventavano insieme testimonianza e denuncia: un gioco crudo tra visibilità e alienazione, tra l’essere sempre “in servizio” e la necessità vitale di sottrarsi.

In tutto ciò, la sua ironia resta un’arma sottile.

Nei ‘Full Mime Jobs’, Camilla impersona figure come l’idraulico, il macellaio o il pizzaiolo, ricreando ambienti di lavoro in miniatura in cui il pubblico interagisce seguendo regole e istruzioni precise: un piccolo teatro in cui ogni gesto, anche il più ordinario, diventa oggetto di osservazione e riflessione.

Ci costringe così a ridere amaramente delle maschere che indossiamo per sopravvivere, trasformando la critica sociale in un’esperienza condivisa, quasi ludica.

Parallelamente alla sua pratica artistica, dal 2022 Gurgone fa parte del team curatoriale di spazioSERRA, un progetto no-profit situato nella stazione di Milano Lancetti, dove espone e cura quotidianamente opere e progetti artistici.

È qui, nell’incontro diretto con il pubblico, che si rafforza l’idea che l’arte non sia solo oggetto da contemplare, ma esperienza viva, dialogo e relazione, un prolungamento naturale del lavoro performativo e poetico che caratterizza tutta la sua ricerca.

La sua poetica non offre risposte, ma aperture. Camilla non ci consegna verità granitiche, ci invita piuttosto a entrare nel suo laboratorio di fragilità, dove ogni scontrino diventa specchio, ogni performance diventa domanda, ogni gesto diventa possibilità di riscatto.

E forse è proprio questo il regalo più prezioso che la sua arte ci offre: la certezza che l’arte non è mai altrove, ma proprio qui, tra le mani che stringono una busta della spesa, tra le lettere storte di uno scontrino, tra la fatica quotidiana e la nostra ostinata ricerca di senso.

About Author /

Classe 2000, Eleonora Iseppi cresce in un piccolo paesino di campagna in provincia di Modena dove, fin da piccola, si allena spasmodicamente a ricercare la meraviglia nel quotidiano. Laureata in Filosofia presso l’Università di Bologna e attualmente studentessa di Scienze Filosofiche, coltiva da sempre la passione per la scrittura in ogni sua forma e desidera, tramite questa, arrivare all’anima delle persone e comunicare il mondo tramite lenti differenti. Appassionata di prosa, poesia, fotografia e teatro, crede nell’arte come mezzo per raggiungere l’intima profondità che cela l’essenza di ogni individuo.

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