La realtà virtuale come manipolazione e visione personale di ciò che ci circonda
Giocando con spazi pubblici e mostri di colore, il direttore artistico e 3D generalist Luca Maletta ridà un senso alla tridimensionalità digitale e fisica
Non si deve più dare per scontato che il cielo sia blu. Siamo ufficialmente arrivati ad affacciarci nell’era della manipolazione digitale e della realtà virtuale: un sereno paesaggio di campagna, con verdi colline e cielo maculato di nuvole candide, può non essere vuoto e pacifico per tutti gli occhi che gli sono testimoni. Basti pensare a chi nell’ormai lontano 2016 si trovava a camminare per strada, solo per assistere ad altre persone impazzire di gioia davanti ad una comunissima aiuola osservata attraverso i loro telefoni: fu in quell’anno che venne lanciato l’ormai celeberrimo Pokemon GO, videogioco per mobile incentrato sull’esplorare i propri reali dintorni alla ricerca di virtuali creature, visualizzabili solo se mediate dallo schermo di un cellulare; in sostanza, due persone nello stesso luogo fisico, possono assistere a due contesti diversi, uno digitale e mediato, uno reale e diretto.
Del resto da tempo la fantascienza flirta con l’idea della realtà virtuale e non ha mai fatto mistero delle eventuali ripercussioni distopiche insite in questa tecnologia. Per cui nell’era del VR e del Meta Quest, i lavori di Luca Maletta sono di fondamentale importanza: nato nel 1995 a Catanzaro, ha cominciato da subito ad interfacciarsi con gli spazi pubblici, lavorando a graffiti e opere di writing nella sua città natale. Qualche anno più tardi si laureerà in Graphic Design e Direzione Artistica presso la NABA di Milano, per poi dedicarsi ad una serie di progetti legati appunto al graphic design; da cinque anni, Luca ha co-fondato insieme a Lorenzo Ferrara e Vincenzo Parretta 0039studio (www.0039studio.com), una società dedita a coniugare marketing e arte attraverso campagne pubblicitarie di alto profilo culturale, collaborando con grandi marchi internazionali come Google, Converse e Camper.

Parallelamente, ha lavorato all’allestimento di una mostra dei suoi lavori a Tokyo nel celeberrimo quartiere Shibuya, intitolata ‘Grow Up Differently’, e ad una serie di progetti visivi tutti reperibili sul suo profilo Instagram.


Cifra stilistica del suo lavoro è lo sculpting digitale e l’utilizzo della realtà aumentata: fra i soggetti preferiti da Luca vi sono spesso oggetti di utilizzo comune – come accendini, scarpe e palloni – la cui natura fisica viene in un qualche modo alterata grazie al loro esistere solo dentro a schermi, gonfiandosi, divenendo molli o espandendosi fuori misura. Oltre all’evidente richiamo al Surrealismo storico di Salvador Dalì e André Breton – basti pensare ai celeberrimi ‘Orologi Molli’ – questa ossessione di Maletta per gli oggetti “sformati” serve proprio a sottolineare la loro natività digitale e la conseguente impossibilità a seguire le leggi fisiche e le logiche del mondo tangibile. Eppure, una granata gonfiabile nasconde altri significati, ben più profondi della semplice riflessione sul rapporto fra realtà e finzione: Luca ha chiaramente un marcato senso dell’umorismo, capace di mettere in evidenza alcuni dei cortocircuiti anche politici e sociali dei nostri simboli. Negli anni sono stati infatti molti i lavori dedicati a Unione Europea, pandemia e modello di vita consumista.


Più di recente Maletta ha cominciato a sperimentare con l’animazione in 3D applicata a video di luoghi reali, spesso la Bologna in cui ha attualmente sede: strane forme viscose appaiono dal nulla e si contorcono per le strade, tentacoli insidianti strisciano dalle finestre e geometrie impossibili occupano lo spazio pubblico. Sembra di assistere ad un’invasione aliena, di creature che non rispondono alle stesse leggi che regolano il nostro mondo, proprio come non lo facevano gli oggetti dei precedenti lavori di Luca. Anche moti dei titoli rimandano più o meno esplicitamente ad un immaginario fantascientifico: ‘They know It’, mentre un amorfo blob si attorciglia attorno ad un campanile, ‘Galaxyz Kidz’, che ritrae un semisolido dalle fattezze vagamente rettiliane, oppure ‘We never walk alone’, il cui titolo non necessita di spiegazioni, o ancora ‘Extra Venezia’, in cui due sfere liquide orbitano su sé stesse sullo sfondo di una Venezia deserta, quasi appunto conquistata da extraterrestri e ripulita da umani. La fantascienza e il fantastico, più in generale, sembrano proprio fare parte dell’immaginario di Luca anche con riferimenti diretti ai miti di Excalibur e alla serie animata ‘Rick e Morty’.


Ma questi “Colori Venuti dallo Spazio” di Lovecraftiana memoria non sono soltanto inquietanti presenze capaci di suggestionare: sono un modo per Maletta di riappropriarsi degli spazi pubblici, spesso sottratti all’arte e al confronto collettivo in favore del biecamente utile. Le immagini dei portici di Bologna inondati da questi mostri servono a ricordarci che lo spazio cittadino è costantemente vissuto in modo diverso da chiunque lo abiti: agli occhi di qualcuno un portico è solo protezione dalla pioggia, per qualcun altro è un’opera d’arte, per un altro ancora, magari senzatetto, è questione di vita o di morte. Come se ognuno di noi mediasse lo spazio circostante tramite uno schermo secondo le proprie sensibilità ed i propri bisogni, l’esperienza del luogo condiviso è in realtà personalissima: Luca Maletta vede mostri filiformi dove nessun altro riesce a coglierli e scolpire nelle sue opere queste masse di colore non fa che portare attenzione a stralci di suolo pubblico che in molti danno per scontati e che forse, proprio per sopperire al bisogno di spostare la nostra attenzione dal mondo virtuale a quello reale, vanno occupati fisicamente e riconquistati da un’urbanistica più progressista.

