Pugni: il cantautore che traccia dopo traccia racconta le sfaccettature del vissuto interiore
‘Tuffo’, il primo album di Pugni, capace di trasmettere quell’emozione che spesso solamente un live sa dare
Pugni – al secolo Lorenzo Pagni – nasce nel 1993 a Pisa, sulle sponde di un fiume, e cresce navigando sulle sue acque. Di giorno lavora come psicologo in una clinica psichiatrica, di notte scrive canzoni. Cantautore toscano di stanza a Torino, l’acqua – dell’Arno prima e del Po’ dopo – accompagna e spinge il suo viaggio interiore che sfocia in questo primo album, ‘Tuffo’, distribuito da Believe Music Italia.

‘Tuffo’ è composto da otto brani di un’onestà schiacciante che parlano di salute mentale, di morte e rinascita e di un amore talvolta spogliato della sua magia. Un salto nell’inconscio per dar voce alle storie che Lorenzo vive in prima persona e che si mescolano con quelle incontrate nelle sedute dove ritrova parti di sé, soprattutto quelle indesiderate che ci rifiutiamo di accettare. Come succede nel brano d’apertura della tracklist, ‘Orchestra di Silenzi’, un invito ad abbandonare l’immagine del maschio, figlio sano del patriarcato, che deve essere forte, stabile, che non deve aprirsi troppo perché altrimenti fuori luogo.

“Smetti di fare la roccia
Che è solo un ricordo
Si è rotta la forza
Adesso sei sabbia”
– Dal testo di ‘Orchestra dei silenzi’ di Pugni
Le basi musicali, alle quali Pugni ha lavorato con Kendo e Danny Bronzini, prendono le mosse da un culto viscerale per il grunge ma si aprono a influenze folk, soul e soprattutto brit-pop per arrivare, infine, ad un pop nel quale respirano gli ascolti di nomi come Bon Iver, Radiohead, Damien Rice.
A fare da collante a tutto questo è la voce di Pugni, che vive di opposti: sa essere sottile ma vuole anche urlare più forte che può, per rendere giustizia a ciò che è stato. Una voce che sgorga dall’anima e sa lasciare il segno, in tutta la sua dolce e potente ruvidità.
La chitarra, tra le protagoniste assolute del disco, si mescola a volte con percussioni che richiamano il mondo tribale – dal quale Lorenzo è molto affascinato – altre volte, come in ‘Foglie Morte’, si apre in un assolo etereo di Bronzini che si sgonfia pian piano, come il dolore che ci portiamo dentro. Non mancano momenti con un vestito sonoro più scarno e acustico, o metriche serrate con un cantato dal sapore R&B quando i testi si fanno molto fitti di pensieri.
Uno speciale skit (sketch parlato che appare all’interno di un album musicale) di Francesco Fanucchi, comico in ascesa della nuova scena italiana, ci avvicina, con le sue parole, ad una terapeutica chiusura dell’album, dove le sonorità si fanno più distese e risolte. Di ‘Tuffo’ il cantautore racconta:
“È un disco in cui ho cercato e ritrovato me stesso. Lavorando in una clinica psichiatrica, ogni giorno incontro storie al limite del credibile che, soprattutto all’inizio, mi hanno distrutto e poi ricostruito, in una forma nuova e più consapevole. Quello che osservo e ascolto durante i colloqui viene difficilmente accettato e integrato nella nostra società, nella quale certi tipi di sofferenza rimangono un tabù. Nonostante si tenti di superare la logica manicomiale, ancora oggi il “pazzo” rimane un elemento da isolare e rinchiudere perdendo così la possibilità di conoscere la ricchezza che sta dietro alla “pazzia”, alla diversità. Sono sempre affascinato dalla possibilità di andare oltre le manifestazioni superficiali: spesso il vero significato di un comportamento è il suo totale opposto. Così, grazie a questo album, ho avuto la possibilità di dare spazio alle mie fragilità e paure, restituendogli il diritto di esistere come unico modo per accoglierle. E ho capito chi sono veramente quando ho smesso di raccontarmi per quello che credevo di essere”.
– Pugni
La tracklist prosegue, poi, con ‘Falco Ubriaco’, ispirata ad un episodio realmente accaduto ad un Lorenzo caduto nell’Arno mentre una notte, barcollando, camminava sul muretto dell’argine del fiume. La traccia successiva è ‘Trentasette denti’, cinque denti in più rispetto a quelli di cui ci ha dotato la natura, gli stessi che servono per costruire quegli enormi sorrisi dove si nasconde la tristezza più profonda. Una di quelle canzoni capaci di trasmettere quell’emozione che a volte solamente un live sa dare. Magari dentro una grande stanza illuminata con neon a luci rosse e blu, a metà tra una fabbrica e una chiesa, col rumore delle pennate sulle corde metalliche di una chitarra folk.
“Trentasette denti e tagli nelle vene
Tutta questa voglia da dove ti viene
Fingerai un orgasmo sì, ma fallo bene
Tanto l’importante è solo se lui viene”.
– Dal testo di ‘Trentasette denti’ di Pugni
‘Spigoli’, altro brano dell’album, l’amore lo abbraccia nella sua interezza: c’è la dolcezza, la passione, la disperazione, ma c’è anche la paura di lasciarsi andare e la rabbia di non riuscire a farlo. “Come un naufrago mi asciugo al sole e mi riposo nelle tue pupille”, recita un verso che, in linea con il disco, sfocia nel poetico.
La già citata ‘Foglie Morte’, traccia successiva, ci spinge, poi, a fare come gli alberi che fioriscono più rigogliosi in primavera grazie a ciò che perdono in autunno, come a mettere nero su bianco il fatto che neanche il dolore dura per sempre. Se solo fossimo capaci di ricordarcelo in quei momenti…
‘Amore Bisturi’, la sesta traccia, è un pezzo in cui si cerca il coraggio di condividere con la persona che amiamo anche le nostre paure e le parti peggiori, senza il terrore che queste possano farla scappare. Ascoltandola sembra quasi di essere al cinema, a guardare una commedia d’amore. È romantica e fa male al punto giusto.
Protagonista della potente ‘Inchiostro Blu’ (feat. Michael Sorriso) – con cui ci dirigiamo verso la fine dell’album – è un sistema che spesso relega le persone all’interno di una diagnosi e delle mura di cliniche e case di cura, mentre lo skit ‘Ombra’ anticipa e completa la tematica di ‘Plutone’ – canzone che chiude il disco -, in astrologia e in mitologia simbolo di trasformazione, morte e rinascita. Un brano sulla perdita dell’ego e sul coraggio necessario per cercarsi proprio laddove speravamo di non dover mai andare: tra le ombre.
