Alessandro Rocca: gli amori iconoclasti
Il giovane regista che con i suoi corti premiati al festival Visioni Italiane di Bologna ‘Agosto in Pelliccia’ e ‘Sans Dieu’ – selezionato anche alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia – ha incantato la critica cinematografica
Nel mondo contemporaneo le immagini ci sono completamente sfuggite di mano: simboli, colori, icone, inondano qualsiasi aspetto della vita, dai font delle etichette della nostra bevanda preferita ai post che scorriamo sui nostri dispositivi.
Non è un caso che mai si siano consumati tanti media visivi come oggi e al contempo sempre meno prodotti siano disposti a mettere in discussione le immagini stesse; abbiamo perso il valore dell’iconoclastia, perché viviamo immersi in rappresentazioni sacre e intoccabili, criticare le quali significherebbe mettersi contro le fondamenta stesse della modernità.

Per questo la produzione autoriale di una giovane voce come quella di Alessandro Rocca è una boccata d’aria fresca. Nato nel 1997 a Milano, dopo aver conseguito un diploma al liceo artistico si è da subito lanciato nel mondo del videomaking partecipando alle produzioni di diversi videoclip per famosi artisti musicali in veste di assistente della produzione.

Con l’esperienza maturata su quei set ha poi cominciato a dedicarsi a due diverse filmografie: una artistica, legata al mondo della musica e della moda, e una narrativo-autoriale. Oltre a questo, ha co-fondato e assunto la presidenza di una giovanissima associazione culturale e casa di produzione cinematografica, la DestinationFilm, con la quale ha prodotto oltre che i propri progetti anche quelli della collega Martina Mele.
Partendo dalla prima filmografia, Rocca ha lavorato alla regia e alla produzione di diversi videoclip: collaborazioni con giovani artisti come il cantautore Giorgio Moretti, la band Pankhurst e il fotografo Siermond sono l’input di Alessandro per dar sfogo al suo lato più immaginifico ed onirico, fatto di figure conturbanti e colori contrastanti.
Per quanto originali questi lavori siano sul piano visivo, continuano tuttavia a vivere all’interno del sistema iconico tradizionale: le scelte stilistiche – frequenti slow-motion, massiccio impiego di luci al neon, trucco e costumi particolarmente ispirati – rimandano spesso all’immaginario dell’alta moda, già assodato e ricco di spunti dai quali trarre ispirazione.

La vera vena autoriale di Alessandro Rocca emerge con i suoi progetti di finzione, spesso oltre che diretti, anche scritti e montati da lui. Dai primissimi corti fino ai recenti ‘Agosto in Pelliccia’ (2022) e ‘Sans Dieu’ (2024), la traiettoria di Rocca è chiaramente puntata a renderlo uno dei registi emergenti più di spicco degli anni a venire.

A testimoniarlo, la partecipazione di ‘Sans Dieu’ alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia, oltre che la selezione al festival Oscar Qualifying ‘Warsaw Film Festival’, dove il film ha avuto la sua prima internazionale, e infine i premi vinti con entrambi i corti al festival Visioni Italiane di Bologna, rivolto ai giovani autori: il primo per la Miglior Regia, l’altro come Premio Speciale della Giuria.
Anche a livello contenutistico e stilistico Rocca dimostra fin da subito una grande coerenza: entrambi gli ultimi corti hanno infatti a che fare con la dualità dell’amore.

Anche a livello contenutistico e stilistico Rocca dimostra fin da subito una grande coerenza: entrambi gli ultimi corti hanno infatti a che fare con la dualità dell’amore. Odio-affetto, sessualità-amicizia, la fluidità come elemento fondante, che regola i rapporti umani, incarnata da personaggi ambigui e da nette scelte registiche.

Il cinema di Alessandro Rocca è fatto soprattutto di corpi: ‘Agosto in Pelliccia’, in particolare, è un film “umorale,” composto da sangue, saliva, sudore e varie esalazioni di natura fisica, dal fumo al soffio. Protagonisti sono due fratelli in una casa dilapidata, con il compito di accudire la nonna malata di Alzheimer: fra rivalità fraterne, violenza e amori osceni e proibiti, sono proprio i loro corpi a subire cambiamenti nel corso del film, con perdite di sangue ed infine con un simbolico taglio di capelli.


Da un punto di vista estetico, Rocca va ad incastonarsi alla perfezione in quella nuova generazione di giovanissimi che vuole fare di tutto per sporcare il cinema italiano, negli ultimi decenni “confezionato e sanitizzato”: la fotografia è infatti satura di colori spesso e volentieri freddi, gli ambienti sono fatiscenti e i protagonisti moralmente problematici, portati in vita con recitazione realistica ed atmosfere tendenti al thriller.
Lo stesso vale per il successivo corto di Alessandro Rocca, ‘Sans Dieu’: qui la storia vede protagonisti due bambini nell’atto di condividere un pomeriggio di giochi; eppure uno dei due potrebbe o non potrebbe provare sentimenti complessi per l’altro, nuovamente a metà fra l’infatuazione e la repulsione.
Ciò che però maggiormente accomuna i due corti, oltre alla coerenza estetica e tematica, è l’intangibile qualità distruttiva di entrambi.

Sia ‘Agosto in Pelliccia’ che ‘Sans Dieu’ hanno un chiarissimo intento dissacrante, non è casuale che nelle scene ritornino con insistenza iconografie religiose deturpate, o che il primo contenga un televisore dalla forte ascendenza su uno dei due fratelli; le immagini, se fuori controllo, sono pericolose e per questo meritano di essere distrutte, tramite un’illuminazione disturbante ed un montaggio frammentario.
Alessandro Rocca si spinge ad essere iconoclasta dove tanti altri suoi contemporanei temono di avventurarsi.

Aggiornamento per la versione web:
Kràlik
Il terzo capitolo di questa trilogia, ‘Kràlik’, è stao presentato in anteprima mondiale il 25 Settembre ad Alice nella Città, nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, e inserito nella sezione Onde Corte International.
Il film, scritto e diretto da Rocca insieme a Giorgio Moretti e Giulia Grandinetti, vede protagonisti Jan Angelo Maestri e Simone Zambelli, ed è prodotto da Navona Films in associazione con Destination Film Production, con distribuzione affidata a Gargantua Distribution.
Kràlik conferma l’attitudine iconoclasta e radicale del regista, segnando l’inizio di una fase più matura della sua ricerca: un cinema che, forte della sua ambiguità, sembra ormai pronto a riversarsi anche nel lungometraggio.
